Se la storia sociale del mondo è caratterizzata da esperimenti politico-culturali isolati che precedono la nascita dei musei, è vero che quello moderno, con la struttura e il concept che ci sono familiari, ha una data di nascita precisa: il 19 settembre 1792.
La rivoluzione (non solo) francese per la cultura
Le idee illuministe stanno impregnando l’Europa in quegli anni, e qualcuna attraversa anche l’Oceano Atlantico, diretta verso le ex colonie americane.
A Parigi, caduto il regime monarchico con la rivoluzione, il ministro dell’Interno Jean-Marie Roland de la Platière, prima di cadere in disgrazia presso il suo stesso governo, decide di firmare per trasferire la proprietà di tutte le opere della famiglia reale al popolo francese.
Fino a quel momento le grandi collezioni d’arte erano godute solo da pochi individui privilegiati, ma da quel giorno esse diventano proprietà della nazione, con lo scopo di creare conoscenza nei cittadini, di arricchirli intellettualmente, di rappresentarne ideali e valori.
Sono le idee illuministe al loro punto massimo: nel giro di pochi mesi la situazione precipiterà, ma quella decisione di monsieur Roland non verrà cancellata e anzi, viaggerà lontano da Parigi.
L’effetto francese in Italia
Quella lezione di civiltà non arriva in Italia in maniera pacifica: anzi, come nazione fummo sottoposti alle ruberie napoleoniche a partire dal 1796. Fu probabilmente quel momento drammatico a creare nella coscienza collettiva un senso di ingiustizia per le opere che vennero predate come bottino di guerra. Il Congresso di Vienna, nel 1815, fece in modo di restituircele (non tutte…).
Cosa fare con queste infinite ricchezze? Una prima risposta se la dà l’Accademia di Brera, a Milano, che dal 1803 costituisce la Pinacoteca omonima, dedicata a raccogliere ed esporre il meglio dell’arte religiosa lombarda. I primi musei “statali”, però, arrivano solo dopo l’Unità d’Italia: saranno i musei civici i primi ad aprire al pubblico.